Nella famiglia di Nazareth

La vita di famiglia è il simbolo dell’esperienza che rappresenta la vita a Nazareth - la vita di famiglia. Nella descrizione della comunità di Gerusalemme nell'attesa della pentecoste: “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui” (Atti 1,14).

Questa comunità che nel punto di partenza per un grande evento della pentecoste si fondano sull’esperienza della famiglia di Nazareth (cf. Lc 1,2). La bellezza della chiesa è stato regalato attraverso l’esemplarità di Maria - Maria ai piedi della croce. Maria stava ai piedi della croce quando Gesù dice a lei “Donna ecco il tuo figlio” ed a Giovanni “figlio ecco tua madre”. In quell’istante la chiesa impara la vera interiorità di una donna - donna ecco tuo figlio.

La famiglia di Nazareth sull’esempio di Maria ritrovano in lei l’ancella del Signore attraverso il suo stilo di vita. Quando una donna dà alla luce un figlio, nel processo educativo del figlio, essa fa emergere un mistero. La risposta che Gesù a Giuseppe e Maria nel momento del suo ritrovamento nel tempio: “Non sapevate che devo esse attento alle cose del Padre mio?”. Essi non comprendono la risposta di Gesù ma Maria meditava tutto nel suo cuore. Una mamma è il silenzio adorante del suo figlio. Maria adorava il mistero. La custodiva il mistero che è stato regalato e donato a lei - Gesù. La bellezza di accostare al mistero di Dio deve avere un aspetto di adorazione in spirito e verità.

I magi sono dei sapienti orientali che hanno saputo riconoscere in Gesù il vero Re di Israele. Essi hanno lasciato ogni cosa per andare in cerca alla verità, perché l’uomo della ricerca deve abbandonare tutto. Arrivando a Gerusalemme assettati della verità, avevano l’orecchio per ascoltare, il cuore puro per meditare e con le mani vuote per adorano il bambino che era nato. I magi chiesero al re il luogo preciso:

“Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorano. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2, 9-11).

Entrando in casa, non videro Giuseppe ma solo Maria con il bambino. Significa anche entrare nell’intimità con Dio, perché nell’intimità è la bellezza del rapporto interpersonale con Dio per prostrarsi e adorarlo. Avendo accolto i suoi con la purezza del cuore Maria meditava tutto dentro nel suo cuore perché aveva la purezza del cuore perché il divin figlio di Dio entrava in lei e diventava il principio della sua vita: “Donna ecco il tuo figlio”, “donna insegna il culto in spirito e verità”, “donna insegna che la bellezza della vita e l’ora del Padre”. Maria è la donna obbediente, perché la donna di Nazareth è la donna della speranza.

La verità di ogni congregazione religiosa è il fondatore o la fondatrice. Entrare in casa significa guardare Maria che adora il figlio mentre li regala la spiritualità è la bellezza di ogni fondazione religiosa. La Madonna ha spalancato la propria esistenza al mistero (L’angelo Gabriele entrò da lei e il mistero divina che invada una donna che non conosce un uomo), lo condivideva e cantava. La verginità è l’apertura di tutto il campo per il progetto divina. Questa grandezza che Maria fa nel suo silenzio relativo è verginale ed in fretta andare ad Elisabetta per regalare la bellezza di Dio agli uomini. Quel “in fretta” è che i doni di Dio si regalano subito per evitare che si rovinano. Come ha fa Maria per capire i suoi doni?  Lei andò in fretta ad Elisabetta per condividere la gioia di poter dare alla luce un figlio: “Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua” (Lc 1, 56). 

La bellezza di Nazareth nella straordinarietà della famiglia di Nazareth è la vita spirituale di Gesù, Giuseppe e Maria, poiché ciò che renda straordinaria della vita è la ricchezza della vita interiore. Le stanchezze esistenziale nascono dal vuoto interiore perché l’uomo spirituale è semplice, non ha bisogno di tante cose esteriore perché la bellezza della sua vita interiore dà senso alla vita quotidiana. Maria ci ha regalato la bellezza del suo essere invaso da Dio nel dare in dono un figlio per la liberazione del popolo dell’Antico testamento che attendevano la salvezza. In Maria è la gloria di Dio per l’umanità nell’inno di magnificat. Maria ha condiviso con Elisabetta la bellezza di Dio con un canto.

 Ognuno di noi è una originalità che vive la fedeltà di Dio. Per capire la bellezza di essere insieme nella famiglia di Nazareth è un atto di carità. San paolo ci dice:

Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!

La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”. (Col. 3, 12-17).

La bellezza dell’essere insieme è la gioia di una famiglia. S. Paolo definisce la vita di Nazareth come un parametro della nostra esistenza: “Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore”. (Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964).

 
Prisca Onyinye Nwokorie è una suora. Lei appartiene all’ordine religiosa di “Oblate di San Benedetto Giuseppe Labre” in Italia. Si è laureata presso l’Università degli Studi di Bari, dove ha conseguito la Laurea di primo livello in Informatica e Tecnologie per la Produzione del Software e Laurea Magistrale in Informatica. Attualmente, si sta svolgendo un lavoro di ricerca sul tema “E-learning per i Paesi in Via di Sviluppo”.

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